Scivola la sborra con l’acqua della doccia: dalla schiena, lungo la curva delle natiche, per la lunghezza delle gambe, disperdendosi in un rivolo denso, mentre ingorda la mia bocca ne sente la mancanza.
Nemmeno un assaggio in punta di dita, solo gocce disperse nel tragitto fino al bagno.
Grido di piacere all’unisono col suo mentre il getto caldo m’ha invaso la schiena in pozza biancastra d’orgasmo virile.
Sfilato il cazzo per compiere l’impresa, la mia figa, terribilmente vuota, si è contratta cercandolo ancora, perdendo liquidi non più trattenuti dalla sua erezione.
Colpi veloci nel battere carne su carne in spinte successive, sfondata, trattenuta dal peso del suo corpo, schiacciata sul cuscino dalla mano sulla nuca.
Quasi prona, il culo in aria a ricordare la perduta postura quadrupede in cui mi ha voluta.
Spinta sul letto già fradicia, pronta ad accoglierlo a esaudire la sua voglia di scoparmi.
Mani sul mio corpo, lingua nella bocca, sguardi di intenzioni manifeste.
Scritto per assolvere alla seconda penitenza dall’implacabile Ysingrinus. Fallita la prima per una U in eccesso nell’ultima riga, questa l’ulteriore prova da superare: “scrivere un articolo dalla fine all’inizio, al contrario, ma scritto al dritto eh. Cioè dall’epilogo vai al prologo.”